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Morte di Palinuro

Era una notte serena e il mare era calmo. Per la flotta di Enea giunta quasi a metà del tragitto si presentava il momento opportuno per riposare. Solo il timoniere Palinuro restava vigile e saldo sul timone, quand’ecco il dio Sonno scendere dal cielo per recare mesti sogni all’innocente nocchiero. Si presenta a lui sotto le false spoglie di Forbante e lo invita a darsi al riposo come gli altri, approfittando della calma della notte. Ma Palinuro non cede, restando con le mani fisse al timone e gli occhi al cielo stellato. Allora il dio scrolla sulle sue tempie un ramo intriso di rugiada del Lete, infondendogli un pesante sopore. Quell’inaspettato riposo rende languido il suo corpo al punto da farlo precipitare in mare1.

Riferimenti interni

Riferimento : M. Biancucci, « La morte» in Bettini M. (a cura di), Il sapere mitico, Torino, 2021, pp. 38-43.

Fonti
  1. Virgilio, Aen. 5, 833-863

Bibliografia

J. Prieur, La morte nell’antica Roma, Genova, ECIG, 1991.

Commento

L’impossibilità di prevedere il momento della fine alimenta paure e angosce e fa avvertire la morte come un’entità che sovrasta le forze e la volontà dell’uomo. 
La vicenda di Palinuro esemplifica il tema dell’imprevedibilità e ineluttabilità della morte: essa, infatti, arriva inaspettata.
Un altro aspetto del racconto è quello del legame fra morte e sonno: esso prende corpo attraverso l’immagine del ramo intriso di rugiada letea, che infonde al nocchiero il fatale sopore. Il Lete dunque, il fiume
infero della dimenticanza, mette in relazione il sonno, contraddistinto
dall’assenza di coscienza, e la morte, intesa come momento
di abbandono totale e di perdita definitiva della coscienza.

Link esterni