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Miti

Nascita di Silvio

Ascanio, figlio di Enea, fondò sulle falde del monte Albano la città di Alba Longa. Il regno toccò poi al figlio Silvio, il cui nome si doveva al fatto di essere nato casualmente nei boschi (silvae). Secondo una variante del mito, dopo la morte di Enea, Lavinia fu presa dal timore che Ascanio volesse estromettere il figlio di Enea, del quale era incinta; cercò allora rifugio presso Tirreno, un guardiano di porci, e questi la nascose in una capanna situata nel mezzo di una fitta boscaglia. Quando il bambino venne alla luce, Tirreno lo allevò e gli diede il nome di Silvio, per il fatto che era nato nella selva1. L’appellativo di "Silvio" fu portato da quel momento da tutti i re di Alba Longa.

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Gli insegnamenti del padre: Enea e Ascanio

Prima di affrontare il decisivo duello con Turno, Enea si congeda dal figlio Ascanio e stringendolo a sé gli dice: «Figliolo, impara da me il coraggio e il vero travaglio, dagli altri la buona sorte. Da me riceverai difesa e grandi compensi. Tu, quando giungerai all’età adulta, fa’in modo di ricordartene e nel ripetere in cuor tuo gli esempi dei tuoi, ti inciti tuo padre e anche tuo zio Ettore»1.

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Enea salva Anchise

Dopo la presa di Troia, Enea rimane a combattere in città, occupando la rocca e organizzando l’ultima resistenza contro gli invasori. Gli Achei, colpiti da tanto coraggio, propongono una tregua ai Troiani, concedendo loro di portar via i propri beni. Mentre tutti sono intenti a mettere in salvo oro, argento e altri oggetti preziosi, Enea si carica sulle spalle l’anziano padre: è questo l’unico bene che il giovane sceglie di salvaguardare. L’eroe si guadagna così l’ammirazione degli Achei, che gli concedono di portar via qualche altro bene dalla sua casa. Ed ecco che il giovane sorprende nuovamente tutti scegliendo gli dèi protettori della patria. Per tale merito gli viene concesso di lasciare la Troade con i superstiti per dirigersi dovunque voglia1.

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Gioventù e vecchiaia in competizione

Durante i giochi funebri organizzati da Enea per il padre, si combatte una singolare gara di pugilato fra il giovane Darete e il vecchio Entello. Mentre il baldanzoso Darete, compiaciuto del fatto che nessuno osasse sfidarlo, afferra già il premio, Aceste incita Entello, un tempo fortissimo, ad accogliere la sfida. Il vecchio pugile rilutta, ma subito dopo prende un paio di pesanti cesti, con i quali era abituato a combattere in gioventù. Iniziato il combattimento, dapprima Entello sembra soccombere al vigore del giovane avversario, ma poi la consapevolezza del proprio valore ne infiamma le forze. E così l’anziano pugile schiaccia l’avversario che a stento i compagni salvano dalla morte1.

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Vecchiaia della Sibilla

Mentre guida Enea attraverso l’Averno, la Sibilla racconta la sua storia. Febo, innamoratosi di lei, le offriva in cambio del suo amore qualunque cosa desiderasse. Allora la Sibilla raccolse un mucchio di polvere e chiese tanti anni quanti erano i granelli in quella manciata. Una dimenticanza, però, le fu fatale: non ricordò di precisare che quegli anni dovevano essere di gioventù. Di certo Febo le avrebbe concesso una perenne giovinezza, se solo la Sibilla avesse accettato l’amore che invece rifiutò. «E ormai – continuò – l’età più felice mi ha voltato le spalle e la gravosa vecchiaia avanza col suo passo tremante. Ho vissuto sette secoli e ancora mi attendono trecento estati e trecento autunni. Verrà il momento in cui il mio corpo si rattrappirà e la vecchiaia consumerà le mie membra riducendole a un mucchietto d’ossa. Allora chiunque dubiterà che io sia piaciuta a un dio»1.

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Morte di Palinuro

Era una notte serena e il mare era calmo. Per la flotta di Enea giunta quasi a metà del tragitto si presentava il momento opportuno per riposare. Solo il timoniere Palinuro restava vigile e saldo sul timone, quand’ecco il dio Sonno scendere dal cielo per recare mesti sogni all’innocente nocchiero. Si presenta a lui sotto le false spoglie di Forbante e lo invita a darsi al riposo come gli altri, approfittando della calma della notte. Ma Palinuro non cede, restando con le mani fisse al timone e gli occhi al cielo stellato. Allora il dio scrolla sulle sue tempie un ramo intriso di rugiada del Lete, infondendogli un pesante sopore. Quell’inaspettato riposo rende languido il suo corpo al punto da farlo precipitare in mare1.

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Morte di Miseno

Prima di accedere al regno dei morti, Enea riceve dalla Sibilla un’importante prescrizione: avrebbe dovuto dare sepoltura al cadavere di un amico che contaminava la flotta; solo allora sarebbe potuto entrare nei domini inaccessibili ai vivi. Si tratta di Miseno, colpito da una morte non degna di lui: egli era figlio del dio Eolo ed esperto nel suono della tromba, con il quale era solito infiammare il valore dei guerrieri. Dopo la morte del suo compagno Ettore, si era unito a Enea. Un giorno, però, mentre con una sola conchiglia faceva risuonare la distesa marina sfidando, folle, le divinità, venne afferrato da Tritone che indispettito lo sommerse tra gli scogli1.

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Morte di Lauso

Già le Parche tessevano gli ultimi fili per il giovane Lauso, mentre Enea affondava la sua valente spada in pieno petto al ragazzo: in un istante la sua tunica si riempì di sangue e la vita fuggì triste all’aldilà. Ma appena Enea vede quel giovane volto assumere il pallore della morte, lo compiange profondamente: «Cosa potrò concederti che sia degno di un’indole così valente? Terrai le armi di cui andasti tanto fiero e ti restituirò ai tuoi. Ma una cosa sola consolerà la tua infelice morte: cadi per mano del grande Enea»1.

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Divinizzazione di Anna Perenna

Fuggita da Cartagine, in mano ormai al nemico Iarba, Anna si ritrova dopo un lungo peregrinare nel Lazio, dove Enea ha ereditato il regno di Latino. Commosso nel vederla, l’eroe accoglie Anna con grande affabilità, tanto da suscitare la gelosia della moglie Lavinia, che inizia a tramare insidie contro di lei. Avvertita in sogno da Didone, Anna balza dal letto e fugge atterrita dalla reggia. La sua corsa, però, si arresta presso la riva del fiume Numicio: si crede, infatti, che il fiume stesso l’abbia afferrata celandola nelle sue onde. Il giorno dopo Enea va alla ricerca di Anna, seguendone le tracce fino al fiume, e qui ode una voce: «Sono una ninfa del fiume Numicio: celata nell’onda perenne, mi chiamo Anna Perenna»1.

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