Indice
Tarpea
Lo sdegno dovuto al ratto delle loro donne induce gli abitanti di tre città della
Riferimenti interni
Riferimento : F. Tutrone, «L’identità collettiva: cittadino vs. straniero» in Bettini M. (a cura di), Il sapere mitico, Torino, 2021, pp. 72-78.
Fonti
- Livio, 1, 10-11
- vedi sez. IIIB.1.2
Bibliografia
A. Baudou [1995], Tarpéia, traîtresse indo-européenne, héroïne pisonienne, in «Cahiers des études anciennes», 29 (1969), pp. 81-89.
J. Beaujeu, L'énigme de Tarpéia, in «L'information littéraire», 21 (1969), pp. 163-171.
F. Marcattili, Moles Martis, il turpe sepulcrum di Tarpea e la Luna dell’Arx, in «Bollettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma», 112 (2011), pp. 7-30.
Commento
Il fiero popolo della Sabina appare come un nucleo comunitario “altro”, aggressivo e in relazione di ostilità con i primi Romani, eppure la sua diversità non è irriducibile, anzi è caratterizzata da tratti che i Romani vorranno assimilare. I Sabini infatti appaiono dotati di ammirevoli qualità etico-civili, a cominciare da quell’intransigenza morale che diverrà nel tempo, quando romani e sabini finiranno per integrarsi, un tratto fondante dell’identità delle élites romane.
La fase conflittuale del rapporto fra Romani e Sabini è dominata da due figure ambigue : la vergine romana Tarpea e il re sabino Tito Tazio. Le storie di entrambi (che muoiono di morte violenta) rappresentano, in maniera diversa, l’esito nefasto cui vanno incontro relazioni di reciprocità « sbagliate » : per questo alla tomba di entrambi Roma aveva destinato un culto, che iscriveva all’interno della città la memoria e il monito degli errori che li avevano portati a una tragica fine.
Consegnando la rocca romana al nemico sabino in cambio di oro (o, secondo altra variante del mito, in cambio dell’amore di Tito Tazio), Tarpea agisce infatti una reciprocità squilibrata e perciò disfunzionale : conclude un patto stipulato a titolo personale attraverso il quale scambia un bene collettivo (la città, della quale Tarpea non può disporre a giusto titolo) per un bene privato (l’oro, l’amore).
A differenza delle donne sabine (-> mito L’integrazione tra Romani e Sabini), Tarpea non trova il modo « giusto » per farsi tramite fra figure maschili estranee (ascendenza paterna e alleanza maritale) per uscire in maniera funzionale dal proprio stato virginale. Termina la sua vicenda come virgo, cristallizzata nel culto a lei tributato sul Campidoglio e assumendo tratti di tipo infero e « lunare ».
Il mito della virgo corrotta dall’oro e seppellita dagli scudi sabini sembra carico di tratti inferi e inquientanti, collegabili a rituali di purificazione : esso contiene infatti possibili richiami ai rituali romani in cui armi e oro dei nemici sconfitti (oggetti « contaminati » in quanto provenienti da teatri in cui è stato versato sangue umano) venivano accatastati e purificati ovvero portati al tempio per essere offerti a una divinità (per esempio, Giove Feretrio in Campidoglio).
Miti come quello di Tarpea, di Tazio e delle donne sabine mostrano il groviglio di memorie culturali fiorito dall’incontro fra Romani e Sabini: quando due culture
si trovano a contatto, si fronteggiano e poi si integrano,
l’eredità trasmessa ai posteri è inevitabilmente il frutto di
una complessa negoziazione. Della loro unione con il popolo sabino, i Romani serbano un ricordo ricco di emozioni contrastanti: dall’apprensione all’ostilità, dallo sgomento per la frode alla collaborazione concorde. Un vademecum di tratti, atteggiamenti e strategie variamente replicato nella storia futura della città.