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Morte di Tito Tazio: empietà e contaminazione

È infatti a Lavinio che si consuma un altro gesto di empietà e violenza, teso a pareggiare il debito di sangue: Tazio è assassinato mentre officia un sacrificio, in un momento in cui la prassi religiosa esige il massimo della purezza e dello scrupolo. Accade invece che il re sabino muoia «trafitto presso gli altari dai coltelli sacrificali e dagli spiedi utilizzati per trapassare i buoi»1. Il sangue degli animali consacrati, offerto per la città e per gli dèi, è orribilmente mescolato a quello del celebrante, al culmine di una faida fra popoli consanguinei. Al delitto fanno seguito una serie di eventi infausti: un’inattesa pestilenza si abbatte sugli abitanti di Roma e Lavinio, la terra e gli animali domestici divengono sterili e una pioggia di sangue si rovescia sui luoghi. Né i Romani né i Laurentini hanno dubbi sul fatto che l’ira divina sia stata provocata dai due atti di empietà rimasti inespiati: l’omicidio degli ambasciatori e il linciaggio di Tazio. Dopo la morte di quest’ultimo, infatti, Romolo si era rifiutato di punire i colpevoli, asserendo che il primo fatto di sangue era stato cancellato dal secondo. Nessun effetto sortisce comunque la sollecitudine religiosa con cui Romolo dà sepoltura al collega sull’Aventino, istituendo presso la sua tomba un culto funebre che prevede l’offerta annuale di libagioni a spese della comunità, identiche a quelle che si versavano sul Campidoglio per l’ambigua eroina Tarpea. Il re deve dunque rassegnarsi a fare piena giustizia: vengono puniti sia gli aggressori degli ambasciatori laurentini sia gli assassini di Tazio e le due città sono purificate attraverso apposite cerimonie lustrali. Anche questi riti entrarono nell’uso tradizionale ed ebbero come sfondo, nei secoli successivi, una non meglio precisata Porta Ferentina2.

Riferimenti interni

Riferimento : F. Tutrone, «L’identità collettiva: cittadino vs. staniero» in Bettini M. (a cura di), Il sapere mitico, Torino, 2021, pp. 72-78.

Fonti
  1. Dionigi di Alicarnasso, Ant. rom. 2, 52, 3
  2. Plutarco, Rom. 23, 3-4; 24, 1-2

Bibliografia

F. Marcattili, La tomba di Tito Tazio e l’Armilustrium, in «Ostraka», 18.2 (2009), pp. 431-438.

J. Poucet, Recherches sur la légende sabine des origines de Rome, Louvain, Publications Universitaires, 1967.

J. Poucet, Les Sabins aux origines de Rome. Orientations et problèmes, in Aufstieg und Niedergang der Rōmischen Welt 1.1 (1972), pp. 48-135.

M. Torelli, Lavinio e Roma. Riti iniziatici e matrimonio tra archeologia e storia, Roma, 1984.

Commento

La fase conflittuale del rapporto fra Romani e Sabini è dominata da due figure ambigue : la vergine romana Tarpea e il re sabino Tito Tazio. Le storie di entrambi (che muoiono di morte violenta) rappresentano, in maniera diversa, l’esito nefasto cui vanno incontro relazioni di reciprocità « sbagliate » : per questo alla tomba di entrambi Roma aveva destinato un culto, che iscriveva all’interno della città la memoria e il monito degli errori che li avevano portati a una tragica fine.
La morte di Tito Tazio rievoca i timori
connessi all’inquinamento delle
relazioni interstatali. Il vortice degli eventi è scatenato da un
primo atto di trasgressione violenta : l’oltraggio agli ambasciatori di Laurento, cittadini stranieri tradizionalmente protetti da un’immunità
religiosa, da parte dei parenti di Tazio. L’accondiscendenza di Tazio verso i suoi congiunti lo
distoglie dal dovere di espiare l’oltraggio agli ambasciatori nelle modalità previste dal diritto e dal rito, segnando (in disaccordo
con Romolo, deciso a punire subito i colpevoli) una violazione del principio di reciprocità a livello delle relazioni internazionali e preparando il tragico epilogo (la vendetta dei laurentini).

A loro volta i Laurentini, perpetrando la loro vendetta in un contesto rituale (uccidono Tazio mentra officia un sacrificio) sovvertono le norme sacrali e producono un disordine « cosmico » (pestilenze, sterilità, pioggia di sangue) che potrà essere riparato solamente con la punizione dei colpevoli da entrambe le parti e la successiva purificazione delle due città.
Miti come quello di Tazio, di Tarpea e della pacificazione indotta dalle donne sabine mostrano il groviglio di memorie culturali fiorito dall’incontro fra Romani e Sabini: quando due culture
si trovano a contatto, si fronteggiano e poi si integrano,
l’eredità trasmessa ai posteri è inevitabilmente il frutto di
una complessa negoziazione. Della loro unione con il popolo sabino, i Romani serbano un ricordo ricco di emozioni contrastanti: dall’apprensione all’ostilità, dallo sgomento per la frode alla collaborazione concorde. Un vademecum di tratti, atteggiamenti e strategie variamente replicato nella storia futura della città.

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