Indice

Devotio e morte del console Decio

L’esito della battaglia tra Romani e Latini era incerto e il console Decio capì che era giunto il momento di interpellare il pontefice massimo; seguendone i suggerimenti, indossò la toga pretesta e, in piedi sopra un giavellotto, pronunciò con il capo velato una lunga preghiera nella quale si consacrava agli dèi Mani e a Tellus, in cambio della vittoria dell’esercito romano. Poi salì a cavallo armato e si gettò in mezzo ai nemici. In questo preciso momento accadeva qualcosa di straordinario: il console appariva più grande di un essere umano; sembrava una vittima espiatoria dell’ira degli dèi, inviata dal cielo per allontanare la rovina dai suoi e riversarla sui nemici. Questi, atterriti e confusi, si allontanarono. I Romani invece, liberati da ogni timore, ripresero la battaglia come se avessero ricevuto il primo segnale di guerra proprio in quell’istante1.

Riferimenti interni

Riferimento : M. Biancucci, «La fine dell’eroe» in Bettini M. (a cura di), Il sapere mitico, Torino, 2021, pp. 43-48.

Fonti
  1. Livio, 8, 9, 1-13

Bibliografia

F. Mencacci, La costruzione dei viri illustres. Genealogia metaforica e maiores collettivi, in M Coudry-M. Späth (a cura di), L’invention des grandes hommes de la Rome Antique, Paris 2001.

Commento

A Roma, anche la biografia di un personaggio storico
può essere costruita secondo le componenti canoniche dei racconti
eroici.
Spesso il mezzo attraverso cui l’individuo acquisisce lo statuto
eroico è proprio la morte, caratterizzata come scelta volontaria
che antepone alla vita del singolo il bene della collettività. 
Il sacrificio di Publio Decio Mure si caratterizza, nel racconto eroico, come devotio, un sacrificio che i Romani praticavano nel contesto
militare, in circostanze difficili. Si trattava di un rito con il quale si consacrava qualcuno (o sé stessi) a una divinità in
cambio della salvezza.
Eseguito il rituale, Decio appare più grande di
un comune essere umano in quanto è divenuto homo sacer, ovvero soggetto
appartenente alla divinità e perciò in balía della volontà divina, che ne determinerà la sorte.

Il racconto del sacrificio di Decio si presenta come una morte
eroica ritualizzata, destinata a essere iterata nelle generazioni
successive della sua famiglia e ad acquistare così il senso di un vero e proprio
costume gentilizio.
La tradizione romana ricorda altri esempi di singoli che si immolano
per la patria con modalità diverse: è il caso di Orazio Coclite (Polibio, 6.54), che sacrifica la propria vita combattendo da solo contro l’intera armata degli Etruschi, o di Attilio Regolo (Livio, 2.10), che preferisce morire piuttosto che cedere al nemico.
Le morti eroiche, pur afferendo a tipologie diverse, appaiono
dunque legate da un aspetto che tutte le accomuna: esse scaturiscono
da uno spiccato senso di appartenenza a una collettività,
alla quale l’eroe è disposto a sacrificare la propria esistenza
individuale.

Link esterni